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Firenze, 7.9.25
È stata una sensazione agrodolce lo scorso 29.5.25 alla presentazione del libro di D.Bendicenti ‘Al centro della tempesta. L’Europa tra ordine mondiale e disordine globale’ presso il ‘Circolo Rosselli’, sentire per bocca del Prof. Buti che se Jean Monnet avesse potuto rifondare l’Europa lo avrebbe fatto in primis su una base culturale, invece che economica.
Di formazione e ricerca scientifica, per l’ennesima volta, se ne è parlato recentemente presso il Teatro del ‘Maggio‘ in presenza della Rettrice e del DG di Cassa di Risparmio; ma è passato più di un quarto di secolo quando in presenza dell’allora Presidente della CRUI e ministri vari, si avvertì sulle future conseguenze il buttare al macero un antesignano Big Data che conteneva tutti i corsi di studio comunitari consultabili online (una sorta via lattea per la ricerca scientifica) che avrebbe potuto costituire quel minimo di collante didattico culturale ( https://www.civitasdemocratica.it/2018/06/20/erasmus-meets-your-neets/ ).
Quel giorno in Rettorato era presente anche il Presidente del ‘Rosselli’, che ospitando l’evento di presentazione del libro di maggio scorso, ha giudicato come incomprensibile l’odierna strategia del cosiddetto Zar. Fa comunque onore al suddetto circolo culturale nel rispolverare un vecchio Quaderno dal titolo ‘L’oro di Mosca‘, in cui profeticamente il Prof. Il’jà Levin il 5 giugno 2000 diceva: “Putin è stato eletto con un mandato costituzionale di quattro anni e, visto che è relativamente giovane e fisicamente forte, è difficile pensare che non duri fino al 2004. Dato, poi, che, ancora prima delle elezioni, si è cominciato a parlare di una modifica della Costituzione nel senso di aumentare il mandato presidenziale fino a sette anni, diventa molto probabile che arrivi come niente al 2011. Ma dal momento che la Russia è entrata nel processo di formazione di un unico stato con la Bielorussia non è detto che questo stato nuovo non si dia una nuova costituzione che permetta a Putin, anche dopo aver esaurito il limite massimo, di riciclarsi per altri 14 anni e, cioè, fino al 2025!”. Per aggiungere: “Sono reduce dal summit economico dell’Iniziativa centroeuropea… quando sono andato a chiedere ai miei colleghi e amici ucraini come mai erano così tanti, la risposta è stata di una semplicità disarmante: «Noi siamo al limite di miseria. Il 70% delle imprese industriali sono ferme, pronte a morire. Non abbiamo né petrolio, né molte altre risorse che la Russia possiede. Per cui non ci rimane che rimboccare le maniche e darci da fare». Ed ecco la differenza: in Ucraina, tanto per fare un esempio, hanno oramai una una legge di stato per stimolare e proteggere i distretti industriali, mentre in Russia siamo ancora quattro gatti… Ci sono, schematizzando, 4-5 compagnie petrolifere che commissionano tubi, impianti di trivellazione e compressori… Non ci vuole molto a capire che con un tale andazzo il distacco della Russia dalle economie più progredite – perché innovative – non farà che aumentare”.
Previsione confermata quando nel 2021 l’inquilino sine die del Cremlino intitola il suo saggio come segue: ‘Sull’unità storica di russi e ucraini‘. Si aggiunge, off the record, che ciò che profondamente rosica ai moscoviti, e qui si entra in ambito psicoanalico-identitario, è la Rus’ di Kiev (della serie, chissà se esisterebbe il termine Russia senza Kiev).
Tuttavia già dai primi segnali nel 2014 si scrisse che del sistema energetico ne andasse fatta una “diversificazione”; e qualche iniziativa europea stava finalmente prendendo corpo, come rivela l’autore de ‘La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino‘ (G.Sabella): “A luglio dell’anno scorso, il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič si è recato a Kyiv per incontrare il primo ministro Denys Shmyhal. In quell’occasione, è stato firmato un partenariato strategico sulle materie prime. A novembre 2021, come riportato dalla stampa specializzata e come confermato dalla stessa azienda, la European Lithium Ltd – società di esplorazione e sviluppo proprietà minerarie che ha sede a Vienna – si è accordata con la Petro Consulting Llc – azienda ucraina con sede a Kyiv – che dal governo locale ha ottenuto i permessi per estrarre il litio dai due depositi che si trovano a Shevchenkivske nella regione di Donetsk e a Dobra nella regione di Kirovograd, vincendo la concorrenza dell’azienda cinese Chengxin. Era il 3 novembre 2021. Solo tre mesi dopo, Putin scatenava la guerra in Ucraina. Le due vicende non mi sembrano indipendenti… La Russia, ora che l’Europa punta alla sua indipendenza industriale ed energetica (quantomeno dal 2019), a chi lo vende il gas?”.
Posto che quanto maggiore è l’autoproduzione energetica, quanto minore è il rischio conflitti (non a caso in un post si era fatto ironicamente riferimento al ‘Dongas‘), ben prima del sabotaggio, probabilmente ucraino, al Nord Stream 2, a giugno 2022 nei pressi di Zaporizhzhia da parte russa c’era stato il saccheggio “della più grande centrale solare dell’Ucraina” (‘Today’). Episodio avvalorato dal recente libro ‘La Russia contro la modernità‘ (A.Etkind): “fermare l’evoluzione globale verso la consapevolezza climatica, la transizione energetica e la rivoluzione digitale”.
Sulle batterie la ricerca europea dovrebbe investire anche su quelle al sodio ( https://www.civitasdemocratica.it/2023/12/06/veniamo-al-sodio/ ), ma la cosa che lascia più perplessi sul divieto comunitario previsto dal 2035 alle autovetture endotermiche e diesel su cui ci si sta accapigliando – qualora la scadenza fosse rispettata – è che non ci si sia analogamente preoccupati di come gestire i carichi per le vetture elettriche, perché l’attuale sistema di distribuzione al momento non sarebbe in grado di sopportarli, andando probabilissimevolmente in blackout.
Dopo le annunciate politiche energetiche dell’attuale amministrazione USA basate sul “Drill, baby, drill”, il Commissario all’Energia Jørgesen ha detto “Basta energia americana la priorità è l’emergenza bollette” (‘la Repubblica, 13.7.25’), dove i margini di guadagno, come rileva F.De Bortoli (25.8.25), vanno comunque ai soliti ignoti: gas “che potrebbe essere immesso nella nostra rete nazionale a 20/21 euro”, ma che paghiamo “al mercato Ttf (Title transfer facility) di Amsterdam intorno ai 35 euro”.
Esplosa l’inchiesta a Milano sui “Grattacieli Puliti”, il Vicepresidente Ordine architetti milanese su ‘L’Espresso’ (25.7.25) titola il suo intervento con ‘Sulle città decide la finanza’ affermando che l’alienazione di beni pubblici in altri Paesi europei lo si fa attraverso “percorsi di partecipazione pubblica da parte dei residenti”, mentre un deputato ammette sempre su ‘L’Espresso’ (29.8.25) che bisogna “rifare una legge urbanistica nazionale moderna” (!). Sul caso è intervenuto anche il Prof. Ratti del PoliMI, nonché dell”MIT Senseable City Lab’, dicendo che “Milano ha tutte le carte per diventare un laboratorio urbano per la città del futuro” (‘Il Sole 24 Ore’, 27.7.25). Al primo (A.Bortolotti) in un post di marzo scorso dedicato a Firenze e Milano, messogli a suo tempo in copia, si accennava appunto al débat public ( https://www.civitasdemocratica.it/2025/03/10/salvagente-firenze/ ); al secondo (R.Morassut) si segnala il concetto di ‘Postdemocrazia‘, cioè quando la politica prende il sopravvento – e non da oggi – sull’urbanistica: senza una legge attuativa dell’art. 49 della Costituzione sui partiti non si va molto lontano essendo questi oramai “gusci vuoti” (S.Cassese, ‘la Repubblica’, 26.1.25), concetto ribadito durante un incontro pubblico il 29.5.25 in presenza del Presidente Q1 del suo partito (testimone il ‘Corriere Fiorentino’). Al terzo (C.Ratti) si ricorda che in epoca antecedente al Superbonus era stato chiesto collaborazione al Politecnico meneghino per sviluppare mappe energetiche basate non sui consumi presunti ma quelli reali, metodo con cui in Francia sono stati erogati i bonus edilizi. Mappe con cui tra l’altro si potrebbe provare a scorporare il prezzo del gas da quello elettrico, il cosiddetto decoupling ( https://www.civitasdemocratica.it/2022/09/08/les-yeux-sans-visage/ ).
Tra l’altro sul Superbonus lo scorso maggio durante il convegno fiorentino presso Cesifin su ‘Inflazione e Rallentamento della Crescita‘ (tra i relatori il Prof. Buti), dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, in via ufficiosa, si è appreso che quei fondi sarebbero stati in parte finanziati anche dal PNRR e su cui la Commissione Europea si spera abbia aperto gli occhi.
Queste problematiche, oltre ad averle formalizzate prima della pandemia al TSO italiano (Terna), nell’autunno 2021 in maniera sintetica le si erano inviate pure alla Casa Bianca ( https://www.civitasdemocratica.it/2021/10/19/to-the-president-of-the-united-states-of-america/ ) avanzando se fosse opportuno costruire una Google Energy basata essenzialmente su tre layer (aria, energia, suolo) ed ipotizzando una precisa codifica territoriale a livello nazionale, regionale, comunale, di quartiere, nonché di edificio.
Sempre in ambito energetico, l’articolo del ‘Sole’ (26-8.25) mette nudo alcune criticità a fronte del proliferare dei Data Center in Italia, questi estremamente energivori, con “342 richieste di connessione alla rete”. Non solo. Il blackout occorso durante le canicole dello scorso luglio in centro a Firenze, a causa principalmente dei condizionatori degli alberghi, è un’altra dimostrazione di emergenza climatica ma anche della necessità di un bilanciamento della rete. A fronte di ciò, il Comune, per bocca dell’assessora alla Protezione civile e Digitalizzazione chiede a Enel “un’analisi dettagliata della situazione e degli interventi che saranno adottati per scongiurare il ripetersi dei blackout” (‘Corriere Fiorentino’, 4.7.25). I sindacati il giorno dopo, non a torto, hanno accusato sia ENEL di “Scelte sbagliate” che le aziende elettriche “che consigliavano di installare come sistemi di riscaldamento e raffrescamento per usare meno gas” (‘la Repubblica-Firenze’, 5.7.25). Come d’incanto giorni dopo il Comune fiorentino ha stipulato con il distributore “un protocollo di scambio dati anti black-out” (‘Corriere Fiorentino’, 11.7.25): non che si debba piazzare un Data Center per ogni cabina primaria, ma questi dati sarebbero utili non solo ad enti di ricerca.
Infatti settimane prima del sopracitato episodio la medesima assessora (non solo lei) aveva ricevuto segnalazione sulla necessità di una digitalizzazione dei sottoservizi (cavi elettrici, fibre ottiche, fognature etc.), che in ottica futura può aiutare a minimizzare i costi di manutenzione, dispersioni idriche e studiare meglio le prestazioni energetiche.
Ci sono altre informazione sul suolo che meriterebbero di essere correlate. Pur in versione ologramma, va riconosciuto all’ex Sindaco di Firenze, ora europarlamentare, di aver accennato a ‘Festambiente’ il 9.8.25 di ciò che era stato detto anche al ‘Biorepack‘ di giugno sulla necessità di “carbonio organico” a garanzia della fertilità del terreno. Sempre all’evento di ‘Legambiente’ uno dei premiati, a domanda, ha risposto che con l’agrivoltaico la ritenzione idrica del terreno migliora, tenendo ovviamente presente che non si può coprire di pannelli tutto il territorio.
Sul suolo qualcosa l’attuale giunta della Regionale Toscana aveva fatto pubblicando il ‘Primo rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio in Toscana‘, dove viene esaltata la L.R. 65/2014 ed in cui si legge: “La Commissione europea ha stabilito per il 2050 l’obiettivo del consumo di suolo pari a zero, chiedendo che già per il 2020 ogni Stato membro orienti le proprie politiche tenendo conto delle conseguenze derivanti dagli usi del territorio”, salvo poi scoprire nel ‘Quaderno Circolo Rosselli‘ 2025 dedicato appunto alla Toscana che quella legge regionale di 11 anni fa è stata pressoché disattesa (“Il superamento della 65 avviene con la stesura di una legge apposita la L.r. 12/2022 redatta, unica regione in Italia a bypassare la legislazione corrente, con la giustificazione della necessità di accelerare e semplificare l’approvazione dei procedimenti relativi all’approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici che interessano progetti da realizzare nel quadro del PNRR”). Posto che al convegno ‘Urbanpromo‘ tenutosi a Firenze novembre scorso è stato messo in evidenza che c’è una differenza interpretativa sul termine del consumo di suolo tra i vari paesi comunitari, il punto è che se ognuno si fa il proprio laboratorio, ogni Comune il proprio digital-twin, ed ogni Regione va in ordine sparso, gli obiettivi comunitari 2050 non verranno rispettati.
Preponderanza andrebbe data anche ai rifiuti con cui si fa energia, come afferma, sempre sul ‘QCR‘ 2025, il Presidente CNA Firenze Metropolitana G.Cioni (“Un tema strategico per la Toscana è la ricerca dell’indipendenza energetica, strettamente legata ad una gestione virtuosa dei rifiuti”). Già perché affinché vengano monitorati capillarmente sul territorio, nei futuri piani regolatori anche le isole ecologiche, in cui conferire usando un codice a barre sui sacchetti per i rifiuti, andrebbero geolocalizzate. Per il porta a porta l’identificativo del bidoncino verrebbe associato al codice edificio univoco in tutta la UE.
L’univocità identificativo di un edificio, oltre a semplificare il computo del saldo energetico con strumenti tipo BIM, potrebbe aiutare nel contrastare il riciclaggio di denaro e disparità fiscali (nonché abusivismo edilizio). Si fornisce link a ‘Europa parassita‘ di A.Mincuzzi dedicato alle alchimie fiscali nel centro di Bruxelles da parte di un big della moda europea (non che Gucci sia da meno come ci racconta ‘Report‘ del 25.5.25 dal titolo ‘Fuori Moda’).
E’ matematico – scripta manent verba volant – che se la Comunità Europea non si arma di uno strumento per inserire in maniera organica i dati proveniente dai vari livelli amministrativi, il 31.12.2049 non riuscirà, oltre a quelli sul consumo di suolo, primo indiziato dell’effetto serra, a raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.
Nella missiva di ottobre 2021 alla Casa Bianca si era accennato che tutti questi dati idealmente si sarebbero potuti convogliare sul nuovo supercomputer Leonardo di Bologna, con un breve accenno al fatto che questi li si sarebbe dovuti confrontare con quelli del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration); il quotidiano ‘Domani’ (2.9.25) però ci informa del licenziamenti in tronco dei suoi dipendenti da parte dell’attuale amministrazione USA e che “sta facendo piazza pulita dei dati”. Un’occasione per venire in loro soccorso in attesa che passi la nuttata (l’impatto climatico ha avuto un ruolo sui raccolti anche durante la guerra civile americana).
Nel capoluogo della Toscana, oltre ad ospitare migliaia di studenti USA da sensibilizzare sul tema, esiste pure un Istituto Europeo che ha una School of Regulation con cui, eventualmente insieme al Comune, porre le basi per le specifiche di un software in tal senso, ed avviando corsi di ingegnerizzazione del territorio.
Con lo schema dei layer sopraindicati (aria, energia, suolo), tanto per essere sintetici, il climatologo, l’ingegnere-architetto-informatico, il geologo, lavorerebbero in parallelo su tre piani diversi ma facendo riferimento alla medesima area geografica o comunità amministrativa (simbolicamente Palazzo Veccho essendo nel Quartiere 1 di Firenze, assumerebbe come primo edificio inserito nel database GIS il codice IT-FI-Q1-1). A sua volta il layer ‘suolo’ può essere concettualmente diviso in sottolayer (ad es. edificato, non-edificato, sottoservizi). Con una standardizzazione dei dati ogni realtà locale lavorerebbero sia in competizione con le altre ma contemporaneamente all’interno di un unico progetto globale: la UE. Con l’auspicio che una maggiore coesione territoriale porti anche a quella sociale, e perché no, culturale.
A meno che un paese come l’Ucraina non si sia già deciso di ricostruirla con la metodologia dell’Helicopter money.
Va da sé che non interessano i dati del Sig. Rossi, ma quelli aggregati proprio per non violare la privacy (per dettagli vedasi ‘Commerciabilità dei dati personali‘) in attesa di un cloud europeo. Ovvio poi che le varie partecipate e distributori di energia non hanno nessun interesse a condividere queste informazioni perché pensano che il pianeta Terra sia di loro proprietà. Meno ovvio però che una convenzione, quella di Aarhus, emanata proprio nel paese dell’attuale Commissario all’Energia, ratificata dalla UE nel 2019, preveda la condivisione con i cittadini dei dati ambientali da parte delle amministrazioni.
In nome della glocalizzazione, Firenze chiama Bruxelles.
Cordialmente
Giovanni Amaducci